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Roberto Fiacchini Anselmi e papà Renato

Un'infanzia da orfano, poi l'incontro con Renato Zero che lo sceglie come figlio. E adesso la voglia di dare una mano a chi ha talento. Per rifare i conti con una vita che gli ha tolto molto e dato tanto La pelle liscia nonostante a luglio compirà 35 anni, il naso un triangolo perfetto sul quale poggiano un paio di occhiali da vista che lo fanno assomigliare a Clark Kent. "Li ha disegnati mio papà", dice Roberto Fiacchini. Suo padre è Renato Zero, che lo ha scelto come figlio una quindicina di anni fa e che, da cinque, è diventato anche legalmente il suo genitore adottivo. Lo incontriamo a Roma per parlare del lancio dei Miodio, il primo gruppo prodotto da Opera prima, la società che, all'inizio del 2007, ha fondato con altri due soci, Andrea Felli, il creativo, e Massimo Nardi, il manager. La band aveva un brano pronto per Sanremo. Ma non ha passato la selezione. "Non ce l'ho con Baudo", dice Fiacchini. "Mica tutti possono andare al Festival, e poi è facile chiedere, 'per favore, per favore', e quando ti scartano, fare polemica". Tra qualche settimana il video del loro singolo "It's Ok" (da cui sono tratte le immagini di backstage di questo servizio) sarà pronto per essere trasmesso sui canali musicali. Entro maggio dovrebbe uscire il loro primo cd. Con Clark Kent, oltre al profilo, Roberto condivide una buona dose di timidezza e il fatto di vivere due vite in una. La seconda da figlio di Renato Zero, la prima da ragazzo cresciuto in orfanotrofio. La società di produzione musicale è la conseguenza di questo suo essere "uno e doppio": una forma di redistribuzione di parte di quello che la vita - dopo avergli tolto molto - gli ha dato.

- Parliamo di questo filo rosso che collega la sua infanzia senza genitori, l'incontro con Renato Zero e la società di produzione "Opera prima".

Non è un filo, è una corda grossa così. Non amo piangermi addosso, ma ho avuto una vita difficile. Sono entrato in orfanotrofio a 6 anni. Fino a quando ne ho avuti 12, nei weekend tornavo a casa da mia madre. Poi lei è morta. Mio papà non l'ho mai conosciuto. Ero il classico predestinato a non fare nulla di buono. In istituto c'erano anche i miei fratelli, entrambi più grandi di me, Romolo di 7 anni, Massimo di 5. Non siamo mai riusciti a stare insieme per la differenza di età: io iniziavo le elementari in un posto e loro venivano mandati in un altro dove c'erano le medie e le superiori. Mentre mia sorella era stata adottata".

- Non sapevo che avesse anche una sorella.

"Più giovane di me di 5 anni".

- Basta?

"Più o meno".

- In che senso?

"Un giorno trovammo sulla lapide di mamma un foglietto con scritto: 'Finalmente ti ho ritrovata', e la firma: Cinzia. Forse esiste un'altra sorella, più grande di tutti noi, ma è una storia complicata, preferirei lasciar perdere".

- Dopo il primo istituto, di cui ha un brutto ricordo, lei fu trasferito alla Città dei ragazzi, una comunità fondata a Roma nel 1945 da monsignor John Patrick Carroll-Abbing. Lì, invece, si trovò bene.

"Ci sono stato dagli 11 ai 16 anni, quando sono uscito per andare a vivere con mio fratello. Era riuscito a subentrare nell'alloggio delle case popolari dove aveva vissuto nostra madre. Nonostante fosse giovanissimo, Romolo si è comportato come un padre".

-Lei vorrebbe fare un film sulla sua esperienza alla Città dei ragazzi.

"Sì. Per me è stata una vera famiglia, anche se per le dimensioni e per il modo in cui era organizzata assomigliava davvero a una città. Ognuno aveva un ruolo, c'era persino il sindaco, eletto a turno fra di noi. Guadagnavi il tuo 'stipendio' andando a scuola o con il tuo lavoro. C'era una banca e un bazar per i piccoli acquisti. Era un modo per prepararci alla vita fuori di lì e per dare a ognuno l'opportunità di esprimersi secondo le proprie capacità".

- E lei, una volta fuori, che cosa ha fatto?

"Ho cominciato a lavorare come meccanico di moto. Guadagnavo 25 mila lire alla settimana, poi sono passato a 600 mila al mese. Quando ho iniziato non sapevo neanche che fosse un pistone. Ero un vero 'broccolo'".

- Quando ha conosciuto Renato Zero?

"Avevo 18 anni e mi era arrivata la cartolina del militare. Avevo già deciso di 'mettere la firma': rimanere nell'esercito, per me, rappresentava l'unica sicurzza economica possibile". - Mi racconta come avvenne quell'incontro? "Ero andato con alcuni amici a vedere un film e in sala c'era Renato. Conoscevo le sue canzoni perché Romolo le ascoltava, mi ricordo che sapeva anche imitarlo. Gli abbiamo chiesto l'autografo e lui: 'Sì, sì, dopo. Anzi, magari ce ne andiamo al bar e ci prendiamo un cappuccino tutti insieme'". - E così siete andati al bar. "Sì. Lui era con due amici, marito e moglie che, molti anni dopo, sono diventati i miei testimoni di nozze (Roberto si è sposato con Manuela nel 2004. Hanno due bambine, Virginia, di due anni e mezzo, e Ada, di uno, ndr) . Abbiamo cominciato a parlare, che fai, che non fai, così gli ho raccontato che volevo fermarmi nell'esercito. Mi ha detto: 'Perché non vieni a lavorare con me?'. E mi ha lasciato il suo numero di telefono. Poco dopo sono partito militare, ma siamo rimasti in contatto. Nel 1993 mi chiese di accompagnarlo a Sanremo, era l'anno in cui portò al Festival 'Ave Maria'. Mi disse di nuovo che aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse sul lavoro". - Che cosa faceva per lui? "La prima mansione fu preparare tè e caffè. Poi, man mano, ho iniziato a gestire i contatti con le Tv, a seguire l'organizzazione dei concerti". - Finché da suo collaboratore è diventato suo figlio. "Aveva una quarantina d'anni, l'età in cui non hai più voglia di uscire tutte le notti e senti l'esigenza e il piacere di avere un figlio. Renato ha cominciato a considerarmi e a presentarmi come tale molto prima di ufficializzare l'adozione". - Perché proprio lei? "Un pranzo oggi, un weekend a Castoglioncello con i parenti domani, sono entrato a far parte della famiglia. Sono diventato figlio, cugino, zio, nipote. Renato viveva con sua mamma Ada (morta nel 2001, ndr) che, anche se aveva dei nipoti 'veri', si affezionò subito a me. Andavamo al ristorante, la accompagnavo a fare shopping, la portavo in giro sulla decappottabile. E siccome è stata a lungo malata, mi sono preso cura di lei. Mi occupavo anche della casa: come avevo fatto le pulizie alla Città dei ragazzi le facevo lì. Ero giovane, sarebbe stato normale aver voglia di andare in giro. Invece mi sono sacrificato. Credo che Renato abbia apprezzato anche questo". - Che padre è Renato Zero? "Apprensivo in modo esagerato. Una volta ero caduto dalla moto e mi ero 'sgrugnato' un ginocchio e un braccio. Scoppiò una tragedia: 'Andiamo al pronto soccorso, ti do l'antibiotico...'. E come nonno è ancora più attento: accompagna le bambine dal pediatra, se Manuela e io siamo via, le tiene a dormire da lui, si butta a terra e le bacia. E' affettuoso, premuroso. A volte mi dice: 'Robertì, ma con 'sto brutto tempo, le mandi a scuola?'. 'A babbo mio, con quello che costa...'. Mica ci vanno col cavallo. Le porto in macchina". - Apprensivo e generoso. Le ha lasciato la casa quando lei si è sposato. "E' stato un regalone". - In generale un bel cambio di vita. "Dagli 'straccetti' una volta ogni cinque giorni al filetto a pranzo e a cena". - Senza perdere la testa? "Credo di essere una persona umile. Non mi faccio condizoonare dai soldi perché sono perfettamente consapevole delle mie origini. Anche Renato è così. Magari si compra un orologio da cinquemila euro, ma se non sta in una stanza, spegne la luce. Sono uno e doppio, ci sono due Roberti dentro di me che, però, fanno una sola persona". - Cucita da quel filo che scorre lungo la sua vita e che porta a "Opera prima"? "Per me diventare produttore è un'occasione per aiutare chi ha talento, ma che ha bisogno di una mano per farcela. Quando Renato mi ha preso con sé come figlio, i miei fratelli non hanno detto: 'Ce siamo sistemati'. Uno fa il metronotte, l'altro il cameriere. Vorrei dimostrare a Romolo che gli sforzi che ha fatto per me non sono stati inutili. E vorrei anche meravigliare Renato, facendogli vedere che sono capace di fare qualcosa di buono proprio nel suo campo, la musica. Per quanto riguarda me, poi, vorrei dimostrare che non sono solo quello". - Quello cosa? "Quello che in collegio ci passava anche i Natali, i Capodanni e le estati". - Non ha paura di passare da "quello" a "figlio di"? "Sono agevolato, certo, perché conosco tante persone dell'ambiente, ma non ho mai chiesto favori. Anche perché nessuno fa niente in cambio di niente e io non voglio mettere papà nella condizione di dover subire 'ricatti'". - Collabora anche lui con la sua attività di produttore? "Ci ha dato consigli, ci ha aiutato, ma ora ci segue in silenzio. Non è un socio, è un padre. E credo che stia cercando di capire se ho abbastanza tigna per cavarmela".

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