Il 27 Gennaio tutto il mondo si prepara a ricordare una data che turbò le coscienze di molti: la liberazione di Auschwitz ad opera delle truppe russe.
In quel giorno, di oltre cinquant’anni fa, nonostante si concludesse una delle esperienze più tragiche per il genere umano, il mondo restava attonito di fronte a tanto dolore.
Mezzo secolo appare un’eternità ai giorni nostri, ma sarà la gravità dell’evento, saranno le testimonianze visive, ben più incisive di racconti e testimonianze, fatto sta che l’Olocausto è ancora un tema che catalizza l’attenzione generale.
C’è chi in questo giorno viene per la prima volta a contatto con questa realtà, magari a scuola, chi partecipa a onorare la memoria dei milioni di uomini, donne e bambini che persero la vita in quegli anni… ma anche chi specula sopra questa sofferenza, chi ne approfitta per aprire dibattiti, il che dimostra che per l’uomo è difficile persino imparare una lezione così profonda e tragica.
In questo giorno, si vedranno foto, si proietteranno film e documentari, si inorridirà davanti alle immagini e a volte lo sguardo neppure reggerà.
Si andrà a dormire forse meno spensierati, forse con una profonda angoscia, ma consapevoli che ricordare è un dovere, come gridava Levi: “Ricordate che questo è stato, io vi comando queste parole”.
Per alcune comunità sarà un giorno di lutto, per altre, che negano la realtà della Shoah, uno come un altro.
Io scelgo di ricordare questo giorno con questa foto.
La scelgo per raccontare un’altra realtà. Un’altra storia. Un’altra
lezione. O forse solo una postilla, una verità celata dalla sofferenza
che il 27 Gennaio rappresenta.
La ragazza nella foto si è dovuta nascondere con la sua famiglia per sfuggire ai rastrellamenti con cui i nazisti reperivano ebrei da inviare in Polonia; la ragazza nella foto è stata catturata nell’Agosto del 1944 e internata in un campo di prigionia olandese; la ragazza nella foto aveva solo 15 anni quando è morta di stenti a Bergen Belsen, pochi mesi prima della liberazione del campo.
Anne Frank è il simbolo della Shoah e del risultato della follia umana e il suo diario è il secondo libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia.
Associata alle camere a gas e ai forni crematori, alle tute a strisce e al filo spinato, questa foto stringe il cuore a chiunque si trovi a guardarla: è portatrice di tristezza, dolore, a volte anche rabbia.
Ma non è per questo che la scelgo. Perchè non è a questo che la associo.
Diari di guerra, di sofferenza esistono forse a migliaia e ognuno di essi rappresenta una vita che abbiamo il dovere di ricordare e onorare, ma c’è un motivo per cui quello scritto da questa giovanissima ragazza ha conosciuto un tale successo: non parla di morte.
Nei mesi che passò rinchiusa nell’Alloggio Segreto, Anne raccontò alla sua amica immaginaria emozioni, vicissitudini, incomprensioni.
Pensieri a volte profondi a volte immaturi. Pensieri come quelli di una qualsiasi adolescente. Pensieri di vita, pensieri di un futuro: e noi ci chiediamo come potesse concepire un futuro fra quelle quattro mura, così strette, così soffocanti, ma che pure la proteggevano da un destino ben peggiore.
E’ in questo che risiede la grandezza di Anne e il messaggio del suo Diario, che lungi da essere un semplice resoconto, è la più ingenua e spontanea espressione del senso del genere umano.
Il Diario è un inno alla Vita. A quella forza che risiede nell’anima e nessun evento esterno può annullare. A quella ostinazione che l’essere umano possiede anche di fronte alle avversità più grandi e che gli consente di sperare, contro tutto e tutti.
Sperare in cosa poi? Anne sperava nella fine della guerra, ma anche in un bacio di Peter.
Piangeva per il terribile destino del suo popolo e per i litigi con la madre. Anne rideva: da sola, con gli altri. Anne soprattutto credeva nell’intima bontà del genere umano.
L’ultimo appiglio di un’adolescente immatura? Forse. O, come io credo, il grido più forte della razza umana, che non si arrende alla realtà, per quanto essa possa essere crudele e cupa, che non riesce a credere che è nata per morire, bensì per vivere.
Anne riusciva a guardare dalla sua finestra e vivere. O sognare di vivere, per i più cinici. Ma ha importanza?
Il 27 Gennaio, commemorando tutte le vittime della follia umana, riflettiamo anche su questo: su come la Vita non si possa fermare, su come la sue essenza irrompa come un fiume in piena in ogni circostanza.
Guardiamo la foto di Anne e ridiamo con lei.
La ragazza nella foto si è dovuta nascondere con la sua famiglia per sfuggire ai rastrellamenti con cui i nazisti reperivano ebrei da inviare in Polonia; la ragazza nella foto è stata catturata nell’Agosto del 1944 e internata in un campo di prigionia olandese; la ragazza nella foto aveva solo 15 anni quando è morta di stenti a Bergen Belsen, pochi mesi prima della liberazione del campo.
Anne Frank è il simbolo della Shoah e del risultato della follia umana e il suo diario è il secondo libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia.
Associata alle camere a gas e ai forni crematori, alle tute a strisce e al filo spinato, questa foto stringe il cuore a chiunque si trovi a guardarla: è portatrice di tristezza, dolore, a volte anche rabbia.
Ma non è per questo che la scelgo. Perchè non è a questo che la associo.
Diari di guerra, di sofferenza esistono forse a migliaia e ognuno di essi rappresenta una vita che abbiamo il dovere di ricordare e onorare, ma c’è un motivo per cui quello scritto da questa giovanissima ragazza ha conosciuto un tale successo: non parla di morte.
Nei mesi che passò rinchiusa nell’Alloggio Segreto, Anne raccontò alla sua amica immaginaria emozioni, vicissitudini, incomprensioni.
Pensieri a volte profondi a volte immaturi. Pensieri come quelli di una qualsiasi adolescente. Pensieri di vita, pensieri di un futuro: e noi ci chiediamo come potesse concepire un futuro fra quelle quattro mura, così strette, così soffocanti, ma che pure la proteggevano da un destino ben peggiore.
E’ in questo che risiede la grandezza di Anne e il messaggio del suo Diario, che lungi da essere un semplice resoconto, è la più ingenua e spontanea espressione del senso del genere umano.
Il Diario è un inno alla Vita. A quella forza che risiede nell’anima e nessun evento esterno può annullare. A quella ostinazione che l’essere umano possiede anche di fronte alle avversità più grandi e che gli consente di sperare, contro tutto e tutti.
Sperare in cosa poi? Anne sperava nella fine della guerra, ma anche in un bacio di Peter.
Piangeva per il terribile destino del suo popolo e per i litigi con la madre. Anne rideva: da sola, con gli altri. Anne soprattutto credeva nell’intima bontà del genere umano.
L’ultimo appiglio di un’adolescente immatura? Forse. O, come io credo, il grido più forte della razza umana, che non si arrende alla realtà, per quanto essa possa essere crudele e cupa, che non riesce a credere che è nata per morire, bensì per vivere.
Anne riusciva a guardare dalla sua finestra e vivere. O sognare di vivere, per i più cinici. Ma ha importanza?
Il 27 Gennaio, commemorando tutte le vittime della follia umana, riflettiamo anche su questo: su come la Vita non si possa fermare, su come la sue essenza irrompa come un fiume in piena in ogni circostanza.
Guardiamo la foto di Anne e ridiamo con lei.
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